Campomaggiore “Vecchio”: un luogo che ha visto sogni, progetti di futuro e persino utopie, infranti da un evento imprevisto, dall’avversità di una frana. Le sue rovine riprendono a vivere nello sguardo e nella fantasia di ogni visitatore, lungo un percorso di “presenze” artistico-scenografiche, di illustrazioni e narrazioni che si accendono di sera nella poesia dell’arte della luce.

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IL PIEGHEVOLE

La Città dell’Utopia.
Il racconto favoloso.

Lungo un percorso che si snoda tra le scheletriche e pur maestose architetture di Campomaggiore Vecchio, che nella loro verticalità sembrano volteggiare in un equilibrio precario, 12 scenografie artistiche – ideate da Antonella Cutolo e realizzate da Rocco Colucci – accompagnano la lettura dei luoghi riaccendendoli di vita per parlare all’uomo contemporaneo della condizione di fragilità che comporta il vivere ma anche della forza del sogno e della speranza.

Origine e declino di un borgo

La Clessidra

Simbolo dello scorrere inesorabile del tempo, riporta due date: in alto 1741 (data di fondazione di Campomaggiore) in basso 1885 (momento di declino a causa della frana), nel mezzo la durata di un sogno.

E’ questo il tempo del luogo spezzato che riprende finalmente a vivere nel tempo e nello sguardo dedicato del visitatore.

I luoghi dell’autorità

La Baronessa Marianna Proto

Ad accoglierci nel palazzo Rendina – vero simbolo di Campomaggiore che conserva, anche da rudere, i simboli del potere e dell’autorità – è la Baronessa Marianna Proto, vedova del Conte Nicola Rendina, che ritrovatasi ad amministrare i beni di famiglia, insieme al cognato Ferdinando Rendina, sottoscrive nel 1741 l’atto di fondazione della comunità di Campomaggiore.

I luoghi dell’autorità

Il Conte Teodoro Rendina

Il vero protagonista della storia di Campomaggiore, nonché artefice della crescita culturale e urbana del centro è il Conte Teodoro Rendina. È raffigurato con i suoi libri proprio a significare della sua formazione e dei suoi studi che gli permisero di migliorare le condizioni sociali del borgo ottimizzando agricoltura e allevamento, e proponendo un rigido schema urbano secondo le più recenti teorie urbanistiche dell’epoca.

12

SCENOGRAFIE
artistiche

I simboli religiosi

La Madonna del Carmelo

Nemmeno la Chiesa resiste al destino nefasto e la sua perdita sembra aggiungere un dramma al dramma.

I simboli religiosi vanno recuperati e nei giorni successivi alla frana gli abitanti del paese tornano nei ruderi cercando di mettere in salvo i simboli della loro comunità: la campana della chiesa, la statua della Madonna del Carmelo e altri oggetti sacri. La Madonna continua a essere lì, si staglia eterea, guardiana di quello che resta della Chiesa a Lei dedicata, sorgente di speranza e di rinascita per la comunità del borgo.

L’incanto della natura

Il volto di donna

E ancora tante istallazioni artistico-scenografiche, come ad esempio un volto stilizzato di donna che sembra prendere corpo dai rami tortuosi di un albero, proprio a significare che la vita rinasce a partire dal mondo naturale.

Il giardino ideale

L’economia del borgo

Il Palazzo Rendina era dotato di un giardino delimitato da un muro perimetrale a cui si accedeva direttamente dall’interno del Palazzo. Era un vero orto botanico, con erbe officinali e piante di vario genere, di cui oggi si conservano un pino domestico e una sequoia (seconda metà del XIX secolo).

Esso rispecchia l’idea di giardino propria della nostra civiltà, la rappresentazione di uno stato paradisiaco primordiale, di un luogo ideale a misura d’uomo e intriso di un alone di spiritualità, uno spazio armonioso, un luogo di delizie e di profumi, di contemplazione e meditazione. Frammenti di questo mondo sono qui riallestiti, lungo il viale ed i ruderi delle casette “tutte uniformi ed ordinate in fila come le tende di un campo”.

Quattro elementi artistici evidenziano l’importanza, nell’economia del borgo, del grano, dell’olivo, della vite e del fico, rispettivamente simboli di prosperità, di pace, di abbondanza, di fertilità e generosità della natura. E le spighe di grano sono anche presenti nello stemma di Campomaggiore vecchio: uno scudo d’argento con tre spighe d’oro.

La Città dell’Utopia.
Il racconto illustrato.

A sostenere e rafforzare la percezione visiva e per recuperare e immaginare storie di vita legate a personaggi che sul sito hanno lasciato un segno, 12 pannelli illustrati realizzati secondo la tecnica del fumetto dalla mano di Luca Raimondo concorrono a rendere loquace il sito, sottolineando la sua natura di borgo leggendario, intendendo per leggenda quella appunto del sogno infranto di una città ideale.

Una leggenda che viene raccontata con la cifra stilistica e l’effetto sorpresa propri delle pagine di un giornale dell’epoca. Ogni pannello illustra un «frammento di storia», uno dei tanti che nei ruderi di Campomaggiore hanno lasciato una traccia, un vissuto, una memoria.

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La Città dell’Utopia.
Il doppio volto della città favolosa.

Di giorno, il percorso si snoda tra le rovine e gli elementi artistici, sostenuto da una narrazione in audio evocativa (testo del poeta Davide Rondoni), che restituisce – a partire da uno sguardo di bambina – sensazioni, umori, visioni, di una storia in qualche modo emblematica di tante comunità e di personali esperienze.

A sera il borgo si accende con la poesia dell’arte della luce e di un sapiente gioco di light designer, quasi a venire in aiuto della luna, a rivestire i ruderi con un magico abito di note scintillanti, ombre e presenze che sembrano danzare, felici di continuare ad accogliere tutti gli abitanti temporanei di una nuova favolosa ed utopica città.

La Città dell’Utopia.
La storia.

Campomaggiore: fondato il 30 dicembre 1741 – abbandonato a causa di una frana il 10 febbraio 1885.

È una nobildonna, Marianna Proto, vedova del Conte Nicola Rendina, a sottoscrivere – il 30 dicembre 1741 – l’atto di Fondazione del nascente borgo di Campomaggiore con i pochi coloni che vi si erano stanziati. A chi stabiliva la propria dimora venivano concessi un lotto di venti palmi per la costruzione della casa, terra da coltivare e altri benefici. In cambio i coloni si impegnavano a versare dei tributi in natura o in denaro e a svolgere dei lavori per i loro signori. Sarà Teodoro Rendina, nipote di Marianna, verso la fine del XVIII secolo, il vero protagonista della crescita culturale, economica ed urbana del borgo. Influenzato dall’architetto Giovanni Patturelli concepisce un modello di sistema viario e di edificazione a scacchiera. Fa realizzare la Piazza dei Voti, baricentro di tutto lo schema urbano, il palazzo dei Rendina, il municipio, la caserma dei Carabinieri Reali, la nuova chiesa parrocchiale e le strutture atte a ospitare i servizi e le botteghe per la comunità. Successivamente il nipote, marchese Gioacchino Cutinelli-Rendina, studioso di botanica ed esperto di agricoltura, darà impulso all’economia rurale così come alla creazione di nuovi quartieri, continuando quella tradizione innovatrice che farà di Campomaggiore un luogo simbolo di progresso. In 140 anni il borgo passa da circa 80 a 1525 abitanti.

Il 10 febbraio 1885 una frana manda in frantumi il sogno di prosperità e di pace di Campomaggiore e della città ideale, facendo scivolare lentamente il paese verso valle e determinando la distruzione dei suoi edifici. La popolazione, abbandonate le proprie case, trova riparo nelle strutture rurali della famiglia Rendina, poco più a monte del paese, o nelle campagne circostanti, assistendo impotente alla distruzione delle proprie abitazioni. Sarà ancora una figura femminile, la moglie del Cutinelli, Laura Antonacci, la grande benefattrice che con proprie risorse finanziarie verrà in aiuto agli sfollati, sostenendo anche parte della costruzione della chiesa parrocchiale nel nuovo centro (edificato a monte).

Due donne, Marianna Proto e Laura Antonacci, racchiudono – in un simbolico abbraccio materno – la nascita e la morte di un borgo, accompagnando la rinascita di una comunità verso un nuovo destino.

Se vuoi saperne di più ascolta la presentazione del critico d’arte Gabriele Scarcia